Necessari nuovo approccio e nuovi strumenti “euro mediterranei” per il governo delle migrazioni

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Workshop: “democrazia tra immigrazione, cooperazione e sviluppo: scenari presenti e futuri per l’Africa e l’Europa”
Al seminario UIL del 6 luglio su Mediterraneo e migrazioni, non è mancato un confronto serrato su occasioni mancate e nuove strategie per il governo dell’immigrazione
– Le drammatiche rivolte in alcuni Paesi del Nord Africa che hanno visto una straordinaria partecipazione popolare, ma anche la repressione brutale  – da parte di governi autoritari – delle aspirazioni popolari ad una nuova stagione di democrazia in quelle terre.
– La guerra in Libia con la fuga di migliaia di profughi verso i Paesi confinanti.
– L’impatto che quei rivolgimenti hanno avuto e possono ancora avere in termini di flussi migratori verso l’Italia e l’Europa.
– Le discutibili politiche che il Vecchio Continente ha finora attuato con il vano proposito di contenere la spinta migratoria proveniente dall’Africa.
– Le previsioni demografiche e sociali  sul futuro di questi due contigui Continenti.
– La consapevolezza della necessità di un approccio e strumenti radicalmente nuovi al fine del governo delle migrazioni e dei processi di integrazione necessari alla costruzione consapevole di un nuovo modello di società futura.
Questi ed altri temi sono stati dibattuti lo scorso 6 luglio, nell’ambito dello workshop che la UIL ha voluto dedicare ad una analisi ed un confronto sui processi sociali in corso in Africa ed in Italia, ad una valutazione delle politiche attuate dall’Europa in materia di immigrazione, cooperazione ed aiuti allo sviluppo, ad uno sguardo sul prossimo futuro di queste aree. Il dibattito è stato ottimamente moderato dal Capo Ufficio Stampa della UIL, il giornalista Antonio Passaro. Presenti all’evento ospiti di rilievo, quali il Direttore Generale per l’Immigrazione del Ministero del Lavoro, Natale Forlani; il Capo Missione OIM in Italia, Josè Angel Oropeza; il Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea Lucio Battistotti; il demografo Antonio Golini, il Direttore del CIR, Christopher Hein; il Direttore Generale dell’OICS, Gildo Baraldi; il Presidente dell’Associazione delle ONG italiane, Francesco Petrelli; il dirigente dell’Uff. VII DGCS Marco Falcone. Per la UIL, ha introdotto i lavori il Segretario Confederale Anna Rea, mentre il Segretario Confederale Guglielmo Loy ha concluso la mattinata. Due le comunicazioni principali ad inizio lavori, quella di Giuseppe Casucci, Coordinatore Nazionale del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL e di Bruno Bruni, Presidente di Progetto Sud. Anna Rea ha introdotto i lavori spiegando l’obbiettivo dell’iniziativa voluta dai Dipartimenti Internazionale e Politiche Migratorie della Uil:  “il proposito – ha detto l’oratrice – è quello di analizzare gli avvenimenti in quelle aree (Nord Africa, Medio Oriente) a noi tanto vicine; di dibattere sulle politiche internazionali attuate dall’Europa e dall’Italia, al fine di valutarne l’efficacia, sia in termini di aiuto allo sviluppo dei Paesi Nordafricani, sia di gestione dell’impatto migratorio che le rivolte in quelle zone hanno inevitabilmente prodotto”. Si tratta anche di gettare uno sguardo sul prossimo futuro, per capire cosa succederà in quel continente e nel nostro e quali politiche l’Europa dovrebbe adottare ai fini di un accorciamento delle distanze tra le velocità di sviluppo e delle disuguaglianze tra le condizioni di vita e di lavoro tra i due Continenti. “Non c’è dubbio – ha detto il dirigente UIL – che l’Italia abbia mostrato una grande ospitalità e solidarietà verso le migliaia di persone in arrivo, evitando di chiudere le frontiere di fronte ad avvenimenti percepiti- se non come eccezionali – certamente fuori dall’ordinario. Così come è anche chiaro che l’Europa abbia mancato l’occasione di  muoversi su di una politica condivisa, sia in termini di governo dell’immigrazione, sia di politiche di buon vicinato con l’Area del Sud del Mediterraneo”. L’oratore si è poi soffermato sul vertice del Consiglio europeo, tenutosi il 23 e 24 giugno scorsi a Bruxelles, da cui “è venuto un nuovo tentativo di risposta all’emergenza mediterranea: con la proposta di avviare un “dialogo per le migrazioni, la mobilità e la sicurezza”, da costruire e sviluppare con i Paesi del Mediterraneo meridionale.  A parte la contingenza di questi ultimi avvenimenti, ha concluso Anna Rea, “si tratta di proporre politiche ed azioni comuni, che non si limitino solo ai necessari controlli di sicurezza alle frontiere e pattugliamenti delle coste, ma che impostino soprattutto una politica di sostegno alle legittime aspirazioni alla democrazia di quei popoli, nonché un supporto concreto allo sviluppo economico e sociale in quelle aree, dove transitano ogni anno centinaia di migliaia di migranti e profughi provenienti dall’Africa Sub- sahariana. Senza la messa a punto di una politica comune anche con quei Paesi, il rischio è che gli accordi bilaterali per il rimpatrio degli immigrati irregolari, non solo producano scarsi risultati, ma mettano a repentaglio i diritti individuali dei migranti e dei profughi”.
Dopo l’introduzione, è seguito il contributo di Natale Forlani, Direttore Generale per l’Immigrazione del Ministero del Lavoro. Forlani ha ricordato la nuova fase di collaborazione che caratterizza la politica del suo Dipartimento verso le parti sociali e la UIL in particolare, che ha ringraziato per le qualificate proposte ed iniziative che pervengono al suo Dicastero da parte del nostro sindacato in materia di migratoria. Il dirigente del Welfare ha ricordato la poliedricità dell’immigrazione, la sua complessità e ricchezza, per rispondere alle quali è necessaria una profonda analisi del fenomeno e risposte non generiche. “Una giusta politica migratoria – ha affermato Forlani – potrebbe diventare un buon complemento alle politiche internazionali dell’Italia, agli aiuti allo sviluppo e ad accordi commerciali con i Paesi di quell’area”.
Per quanto riguarda il Mediterraneo, l’oratore ha sintetizzato la situazione ricordando che da gennaio 2011 sono arrivati via mare circa 55 mila tra migranti e profughi, una cifra certo limitata rispetto al volume complessivo degli ingressi annui nel nostro Paese. Mentre i 30 mila arrivati dalla Tunisia erano soprattutto migranti economici, i 25 mila arrivi dalla Libia erano costituiti in grande maggioranza da profughi provenienti dall’Africa Sub sahariana, in fuga dalla Libia. “La situazione odierna sul fronte migratorio – ha continuato il dirigente del Welfare – presenza caratteristiche di maggiore complessità per due fattori: il gap demografico tra Paesi in Via di Sviluppo e il nostro continente e la situazione di instabilità politica in alcuni di quei Paesi”. Per l’Europa, ha detto l’oratore, “si è trattato purtroppo di una occasione mancata di rispondere alla contingenza dei flussi in arrivo attraverso una politica condivisa, sia in materia di gestione di una situazione migratoria – se non eccezionale certo non ordinaria – sia di aiuto allo sviluppo ed alla democrazia richiesto dalle popolazioni dei Paesi Nord africani”. Ricordando che non basta il sia pur necessario controllo delle acque del Mediterraneo, Forlani ha ribadito l’urgenza di ricostruire ex novo il quadro diplomatico di relazione con quei Paesi, attivando nuove alleanze in materia di cooperazione commerciale ed allo sviluppo, con partnership ed accordi comuni, in materia di mobilità delle merci, come delle persone”. L’oratore ha concluso il suo intervento affermando che “la crisi economica ed il conseguente rallentamento nell’arrivo di flussi nel medio periodo, offrono all’Italia l’occasione di ripensare all’approccio verso il fenomeno migratorio, elaborando proposte e strumenti nuovi (condivisi tra governo e parti sociali) capaci di governarlo davvero”. E’ seguita poi la prima comunicazione, di Giuseppe Casucci, con la quale l’oratore ha cercato di orientare il dibattito ponendo cinque domande riguardanti la politica dell’Italia in materia di immigrazione e la scarsa efficacia delle stesse. La prima, se gli arrivi di boat people costituisse una situazione davvero eccezionale; la seconda ha riguardato l’efficacia o meno di leggi draconiane sull’immigrazione o gli accordi bilaterali, in termini di contenimento di flussi dall’Africa;  la terza concerneva l’efficacia o meno della cooperazione allo sviluppo nei PVS in termini di possibile alternativa alle migrazioni in uscita; con la quarta domanda l’oratore si è chiesto se i governi europei e del Nord Africa siano genuinamente interessati a congelare i flussi migratori; la quinta ha riguardato l’analisi degli effetti di una immigrazione disordinata sul contesto sociale italiano; l’ultima domanda concerneva i cambiamenti che l’immigrazione produce nel mercato del lavoro italiano, in termini di benefici ma anche di problemi. Sulla prima domanda Casucci ha dato le valutazioni ONU che prefigurano un raddoppio  – per il 2011 – dei flussi verso l’Europa di migranti e profughi provenienti da Tunisia, Libia ed Egitto, una situazione certo non ordinaria, ma neanche un esodo biblico, come qualcuno aveva paventato. Sulla seconda domanda l’oratore ha ricordato che i fallimenti delle politiche di contenimento sono dovuti a molti fattori: forte è il meccanismo di richiamo di lavoro etnico irregolare prodotto dalla nostra economia sommersa (pari al 15% del PIL); c’è poi la difficoltà oggettiva delle espulsioni di migranti irregolari, anche a causa delle resistenze dei Paesi di origine e delle nuove direttive europee che prediligono il rimpatrio volontario, rispetto alle maniere forti. Sull’efficacia o meno della cooperazione (terza domanda), è noto per gli esperti che l’aiuto allo sviluppo aumenti in una prima fase l’emigrazione stessa, per varie ragioni, non ultimi la maggiore conoscenza ed informazioni, maggiori mezzi per pagare il viaggio. Casucci ha comunque ricordato la funzione di assorbimento dei flussi già in atto da parte dei Paesi Nord africani e dunque il nostro interesse ad uno sviluppo economico e democratico in quelle aree anche ai fini di affrontare assieme a loro il rebus migratorio.  Sulla quarta domanda, l’oratore ha ricordato che i governi africani dipendono molto dalle rimesse dei migranti, mentre l’economia di quelli europei conta  sempre di più sul lavoro etnico e spesso non disdegna nemmeno l’utilizzo di quello irregolare, anche se a parole la politica stigmatizza quelle persone. “La discrasia è dunque tra la retorica dei proclami e la domanda oggettiva di lavoro irregolare che proviene dall’economia sommersa italiana”. Casucci ha poi parlato (quinta e sesta domanda) degli effetti nefasti che un cattivo governo dell’immigrazione produce in termini di dumping sociale e cambiamenti perversi nel mercato del lavoro, ricordando che “per la UIL la strada maestra non è l’indurimento delle leggi, ma il rafforzamento delle politiche di  immigrazione legale, contrapponendole come alternativa praticabile alla clandestinità”. E’ seguita poi la comunicazione di Bruno Bruni, che si è cimentato sul rapporto tra politiche di cooperazione verso i Paesi africani, gli aspetti che legano sviluppo economico e mobilità delle persone, nonché l’estrema crisi che colpisce oggi la cooperazione italiana, con i suoi effetti nefasti sulla vitalità di molte ONG.  Per l’oratore “In questi ultimi 15 anni sono mutati radicalmente gli scenari nazionali ed internazionali in cui opera la solidarietà e la cooperazione internazionale del mondo non governativo.  “Una delle prime riflessioni da fare – secondo Bruni – è legata allo sviluppo delle ONG sia in termini numerici che di ruolo e, di contro, alla riduzione delle risorse economiche disponibili sia del MAE che di Regioni ed Enti Locali”. All’interno della Associazione Nazionale delle ONG su queste linee è aperto un confronto che si propone di individuare i punti nevralgici della costruzione di “un sentire e fare comune” e di offrire spunti di riflessione per la condivisione e la definizione di un nuovo “ “patto associativo”.  Il Presidente di Progetto Sud ha così proseguito: “collegato al quadro generale ed al dibattito interno al mondo delle ONG vi sono due aspetti di grande rilievo che attengono il futuro della Cooperazione, oltre al presente. Uno è rappresentato dalla drastica riduzione dei fondi della Cooperazione del Ministero Affari Esteri per il prossimo triennio, che si aggiunge a quanto avvenuto nei precedenti due trienni di programmazione di bilancio che hanno messo in crisi la Legge 49/87 e, di fatto, l’intero sistema della Cooperazione e delle ONG. L’altro è dovuto alla apertura di un “Tavolo Interistituzionale”  della Cooperazione allo Sviluppo, avviato circa un anno fa, nel giugno 2010, da parte dei Ministeri degli Esteri e della Economia e Finanze, giunto al terzo incontro.  E’  una iniziativa  importante che sarebbe sbagliato sottovalutare, in quanto essa punta a delineare una visione strategica condivisa dell’aiuto allo sviluppo italiano attraverso la elaborazione comune da parte delle rappresentanze dei diversi attori che in qualche modo fanno parte del cosiddetto “Sistema Italia” della Cooperazione, del quale in tanti abbiamo lamentato e lamentiamo la concreta assenza”. Su questa iniziativa, visto anche come è stato costruito l’ultimo incontro, vale la pena avviare una riflessione approfondita, per alcuni motivi tra i quali:
•    il Coordinamento del Tavolo oltre al MAE vede la piena partecipazione del MEF;
•    la presenza dei numerosi soggetti che hanno aderito;
•    l’impegno diretto e qualificato di Confindustria;
•    la presentazione di una bozza di documento titolato “Elementi per una visione italiana condivisa  di Cooperazione allo Sviluppo” suddiviso in 8 punti che vanno dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, alla efficacia degli aiuti, alla divisione del lavoro tra i donatori, fino al superamento dell’approccio assistenzialista;
L’oratore ha poi concluso la sua comunicazione ricordando che “CGIL,CISL,UIL fino ad ora sono state rappresentate dagli Istituti di Cooperazione ma, vista la scesa in campo di Confindustria, dobbiamo domandarci se non occorra un approccio diverso delle Confederazioni, non escludendo una verifica diretta con       Confindustria sugli obiettivi, ruoli e rapporti”.   Alla comunicazione di Bruni è seguito l’intervento di Francesco Petrelli, in rappresentanza delle ONG italiane. L’oratore ha ricordato che i Paesi Med hanno goduto negli ultimi anni di una crescita economica sostenuta (+ 5% del PIL in media annua) ma senza equità. Con situazioni quali quella del’Egitto che ha ancora due milioni di poveri (che vivono cioè con meno di 1,25 dollari al giorno) e 3 milioni di bambini malnutriti. A questo va aggiunta la spinta demografica nel Nord Africa che ha portato la popolazione  dai 150 milioni del 1980 a 350 milioni di persone nel 2010, con il 47% di popolazione della  popolazione attiva senza lavoro: il più alto del mondo ! . Petrelli ha dato poi un quadro sconfortante della quasi scomparsa dei fondi italiani allo sviluppo e la crisi verticale che ha toccato ONG e terzo settore, auspicando un cambio di rotta del Governo italiano in materia di politiche di vicinato e aiuti allo sviluppo. Ha infine indicato alcuni elementi per il rilancio di una politica italiana verso il MED basato su un approccio territoriale integrato di tipo politico, economico e sociale, basato sulla cooperazione territoriale e decentrata, che attivi e coinvolga attori economici, società civile e pubbliche amministrazioni. E’ stato poi il turno del Capo Missione OIM in Italia Josè Angel Oropeza. Il funzionario dell’Organizzazione Mondiale per le migrazioni, presente in tutti i Paesi del Nord Africa, ha ricordato che nel mondo vi sono attualmente 214 milioni di migranti, destinati a diventare 450 milioni entro il 2050. “Molti di questi migranti – ha detto l’oratore – sono già con noi e sono intenzionati a rimanere nei Paesi che li ospitano: è gente che investe moltissimo nel progetto migratorio che a volte, purtroppo, costa loro la vita, se è vero che dall’inizio dell’anno vi sono stati almeno 1.174 morti tra chi tentava di attraversare le frontiere”. Totale che dal 1988 sfiora la spaventosa cifra di quasi 17 mila morti (dati Fortress Europe). “In questi ultimi anni la situazione nella regione del Mediterranea nella quale ci siamo trovati ad operare è cambiata notevolmente”, ha detto Oropeza. Quella del Mediterraneo è infatti un’area piena di sfide, in quanto siamo molto vicini a un Sud che è molto più povero: pensiamo ai Paesi del Maghreb o, ancor più, ai Paesi africani. Negli ultimi anni, anche i Paesi del Maghreb stanno cambiando la loro identità.  Da zone di origine di flussi verso l’Europa – o di transito dai Paesi dell’Africa subsahariana, asiatici e, a volte latinoamericani -, paesi come l’Algeria, la Libia e il Marocco stanno ormai diventando Paesi di destinazione, sia perché vi si trova un po’ di lavoro e un po’ di risorse per i migranti, sia perché i migranti vengono bloccati grazie alla collaborazione più stretta tra l’Europa e i Paesi del Maghreb. Questo è dovuto anche alle grandi frontiere, ai grandi spazi aperti difficili da controllare. Tutto questo ha creato l’attuale situazione, per cui il nord Africa ora si deve confrontare con le enormi sfide della gestione delle migrazioni, e l’Europa deve fare di più e aiutare di più. Questo è, grosso modo, il contesto regionale. L’OIM, sin dall’inizio della crisi, è intervenuta dapprima a Lampedusa e poi lungo il confine libico, dove è riuscita a evacuare oltre 150.000 migranti e a fornire assistenza immediata a coloro che erano ancora bloccati sul posto. Un flusso, quello proveniente dalla Libia, caratterizzato da gruppi e nazionalità miste. Persone provenienti da vari paesi subsahariana, dal corno d’Africa, ma anche dall’Asia, e che cercano di fuggire dall’attuale conflitto. Se però ci allontaniamo dall’attualità e vediamo con uno sguardo più ampio la situazione nel mondo, ci rendiamo conto che questi eventi sono delle emergenze che si vanno a inquadrare in una tendenza generale ormai confermata a livello globale: il mondo è in movimento e, soprattutto, la migrazione è un fenomeno destinato a restare tra di noi. Oropeza ha ricordato che la globalizzazione delle comunicazioni rende oggi molto più facile la circolazione istantanea delle informazioni che invoglia i giovani dei Paesi poveri di emigrare. Altro fattore “push” è quello demografico che vedrà la popolazione africana raddoppiare entro il 2100. “Sarebbe necessaria in Africa – ha detto l’oratore – la creazione da oggi al 2050 di 1,6 miliardi di posti di lavoro, solo per compensare la crescita della popolazione. L’alternativa, naturalmente, rimane quella di emigrare”. “Va anche considerato che la manodopera africana è occupata attualmente al 70% occupa in agricoltura (in Italia è il 4,3%), e che lo sviluppo tecnologico in quel settore potrebbe comportare l’espulsione di milioni di persone dal mercato del lavoro, meccanismo non necessariamente compensato dalla crescita occupazionale in altri settori economici. Per molti cittadini africani non resta altra alternativa che non quello di affidarsi ai trafficanti di persone e rischiare la vita in  mare”.  “In questo senso – ha concluso il dirigente OIM – dobbiamo riflettere con cura sulla qualità dell’aiuto commerciale necessario allo sviluppo economico e sociale dell’Africa, anche in termini del suo impatto sulla mobilità delle persone”.
L’argomento è stato richiamato dal contributo successivo del demografo Antonio Golini che ha disegnato un quadro a dir poco allarmante del futuro demografico dei due continenti. “In prospettiva – secondo l’esperto – non c’è area al mondo in cui la crescita della popolazione sia più intensa di quella attesa per l’Africa e non c’è area al mondo in cui il decremento della popolazione sia più intenso di quello atteso per l’Europa”. Secondo l’esperto “tra oggi ed il 2050 la popolazione in età lavorativa triplicherà a 1.151 milioni per l’Africa Sub sahariana, aumenterà di 75 milioni nel Nord Africa, mentre l’Europa perderà 100 milioni di lavoratori autoctoni. Ci sono poi le differenze di reddito, tra Africa ed Europa, a rendere ancor più attrattiva la scelta di emigrare. Malgrado il reddito in Africa sia cresciuto negli ultimi dieci anni del 25% (contro un +10% per l’Europa), le distanze tra i livelli di vita nei due Continenti sono aumentate, tanto da ricordare il paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga. Oggi in Nord Africa ancora il 17% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno, cifra che per l’area Sub sahariana riguarda oltre il 70% della popolazione. Malgrado l’alto tasso di mortalità infantile e la bassa aspettativa di vita, la popolazione africana potrebbe toccare quota 2 miliardi nel 2100 a fronte di una sostanziale discesa della popolazione europea. Ci sono poi altri fattori che possono spingere alla mobilità delle persone, quasi la desertificazione, il crescere dell’uguaglianza di genere, un maggior grado di istruzione. “Nel futuro il problema chiave – ha affermato Golini – è se ci sarà sufficiente domanda di lavoro, e di che tipo. Da loro e da noi. Domanda da valutare in relazione alle dinamiche demografiche, a quelle sociali e tecnologiche, oltre che alle differenze strutturali di popolazione”. “C’è poi da considerare l’età mediana della popolazione che nel Niger è di 15 anni, contro i 43 dell’Italia ed i 44 del Giappone. Il che vuol dire che è normale il lavoro minorile, mentre qui ci si deve preoccupare di più di chi pagherà in futuro le nostre pensioni”.  Tra il 2010 ed il 2050, nel mondo, la popolazione tra 15 e 64 anni aumenterà di 1.342 milioni, il che significa che sarebbe necessario creare quasi un miliardo di nuovi posti di lavoro. Ma in quel periodo l’Europa perderà 103 milioni di persone professionalmente attive, a fronte di un’Africa che ne avrà 725 milioni in più. E questo ci porterà ad una gigantesca e insormontabile asimmetria: che alle regioni sviluppate “serviranno” milioni di immigrati e a quelle arretrate “servirebbero” miliardi di emigrati. Nel lungo periodo bisognerà immaginare e attuare perciò – come si diceva –  nuovi modi di convivenza per gli oltre 9 miliardi di persone prossime venture nel mondo e per gli oltre 2 miliardi di persone in Africa”.     “Nel medio periodo, secondo Golini, bisognerà comunque pensare anche a nuovi strumenti specifici di governo delle migrazioni – a livello internazionale, sovranazionale, nazionale. A livello nazionale per il governo delle migrazioni, credo che nel nostro Paese si dovrebbe tornare ad avere un vice-presidente del consiglio con delega alle migrazioni. Un primus inter pares che, nei limiti del possibile, possa da un lato coordinare con una visione olistica i numerosi problemi delle migrazioni e i ministri che se ne occupano e dall’altro avere maggior peso e autorevolezza nei fori internazionali”. E ancora, bisognerà pensare a livello comunitario e nazionale anche a diverse e-o più intense migrazioni internazionali, come ad esempio, le migrazioni temporanee e rotatorie (che già oggi si hanno per i lavoratori dell’agricoltura, del turismo e di fatto per le badanti e le colf).  “Sarebbe anche vitale lo  sviluppo dell’Unione euro-mediterranea, quale istituzione fondamentale da favorire e potenziare.  Tale Unione avrebbe, fra gli altri, gli scopi:
1.    di favorire la crescita e un migliore equilibrio geo-politico nel Nord Africa, dalla quale ci dobbiamo comunque aspettare immigrazione;
2.    di favorire un più intenso interscambio – economico, tecnico, commerciale e umano – del Nord-Africa con l’Europa, che produca sviluppo nelle due rive;
3.    di funzionare da elemento di drenaggio della attesa, assai vigorosa e inevitabile emigrazione dal sub- Sahara. Considerando
•    le tendenze demografiche,
•    la crescente importanza e complessità dei problemi globali nel processo di globalizzazione,
•    le obiettive difficoltà che si riscontrano per il governo del mondo per l’accentuarsi delle questioni internazionali e di lungo periodo (sulle quali poco può fare il governo nazionale).
Terminata l’esposizione del demografo, è poi stato il turno di Christopher Hein, presidente del CIR.  Hein ha ricordato la conferenza euro-africana sulle migrazioni, organizzata dal Ministero dell’Interno italiano il 7/8 febbraio a Napoli, con la presenza dei capi della polizia di decine di Stati africani ed europei, Interpol, Europol, e anche del Ministro dell’ Interno della Libia, Obeidi, che poche settimane dopo si è integrato delle file dei insorti di Benghazi. La conferenza è stata un esempio eclatante di approccio al fenomeno migratorio esclusivamente dal punto di vista della sicurezza, con palese incapacità di cogliere il momento storico dei grandi cambiamenti in Nord Africa. Hein ha sottolineato la straordinaria importanza data in questi momenti ai diritti umani in tutti i Paesi del Maghreb e del Mashrek, citando gli esempi della Costituente in Marocco, del processo delle riforme in Algeria, della ratifica di tutti i trattati dell’ONU in materia dei diritti umani da parte della Tunisia durante gli ultimi mesi, dell’attuale dibattito in Egitto sul reato di tortura nel codice penale. Ha menzionato anche il ruolo fondamentale del sindacato in Tunisia nel processo rivoluzionario e dell’incontro esemplare tra società civile ed istituzioni in questo processo.
Terminata l’esposizione del demografo, è poi stato il turno di Christopher Hein, presidente del CIR.  Hein ha ricordato la conferenza euro-africana sulle migrazioni, organizzata dal Ministero dell’Interno italiano il 7/8 febbraio a Napoli, con la presenza dei capi della polizia di decine di Stati africani ed europei, Interpol, Europol, e anche del Ministro dell’ Interno della Libia, Obeidi, che poche settimane dopo si è integrato delle file dei insorti di Benghazi. La conferenza è stata un esempio eclatante di approccio al fenomeno migratorio esclusivamente dal punto di vista della sicurezza, con palese incapacità di cogliere il momento storico dei grandi cambiamenti in Nord Africa. Hein ha sottolineato la straordinaria importanza data in questi momenti ai diritti umani in tutti i Paesi del Maghreb e del Mashrek, citando gli esempi della Costituente in Marocco, del processo delle riforme in Algeria, della ratifica di tutti i trattati dell’ONU in materia dei diritti umani da parte della Tunisia durante gli ultimi mesi, dell’attuale dibattito in Egitto sul reato di tortura nel codice penale. Ha menzionato anche il ruolo fondamentale del sindacato in Tunisia nel processo rivoluzionario e dell’incontro esemplare tra società civile ed istituzioni in questo processo. Prendendo spunto dal precedente intervento del Prof. Golini, Hein ha parlato della necessità di prepararsi, in Italia e in Europa, al probabile aumento dell’ arrivo di migranti dal Nord Africa durante un periodo del prossimo futuro, proprio come conseguenza di una altrettanto probabile ripresa economica in quell’area, accompagnata comunque da galoppante disoccupazione giovanile. “I Paesi del Maghreb – secondo il direttore del CIR – continueranno anche a servire ancora per un certo periodo come transito di rifugiati provenienti dall’Africa sub-sahariana, considerando che ci vuole tempo per creare strutture legislative ed amministrative per diventare paesi di asilo e offrire opportunità di integrazione di rifugiati e migranti”. Per affrontare queste sfide, Hein offerto due parole chiave : apertura e partenariato. Apertura in termini di una lungimirante politica di accoglienza in Europa, simultanea alla politica di supporto e di capacity building in Nord Africa. “Bisognerebbe permettere – ha concluso il direttore del CIR –  l’arrivo gestito, ordinario e sicuro di un certo numero di rifugiati presenti in tali Paesi e aprire canali per una immigrazione programmata”. Risulta imperativo, per Hein, costruire una rete di partenariato tra la società civile in Europa e nei Paesi del Nord Africa, a livello dei sindacati, delle associazioni, delle università, degli enti locali: “Conoscersi meglio attraverso lo scambio, degli stages, degli incontri, delle attività in comune – questa sarebbe una politica di cooperazione che non richiede grandi fondi e potrà contribuire alla confidence-building tra i popoli delle due sponde del Mediterraneo.  Il sindacato ha un ruolo fondamentale in un tale partenariato”. C’è stato poi un breve intervento del dott. Falcone della DGCS, che ha confermato il quadro generale di difficoltà della cooperazione allo sviluppo italiana, anche se non particolarmente quella realizzata attraverso le ONG. “Questo non significa, ha detto l’oratore, che l’Italia abbia cessato di essere Paese donatore: al contrario, il nostro contributo va soprattutto alla Commissione Europea, per la quale l’Italia è il terzo donatore a livello comunitario, con un contributo annuo di 1,5 miliardi di euro”. “La Commissione Europea, a sua volta, è il primo donatore al mondo in materia di cooperazione allo sviluppo”. Falcone ha poi parlato del ruolo importante della cooperazione decentrata, dello sforzo istituzionale in corso per delineare nuove linee guida italiane in materia di cooperazione ed aiuti allo sviluppo, “per i quali – ha concluso l’oratore – Paesi quali l’Egitto, la Tunisia sono considerati prioritari, mentre il Marocco – pur non prioritario – continuerà comunque ad essere beneficiario di un intervento attivo della DGCS italiana”. E’ poi  seguito poi l’intervento di Lucio Battistotti, Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Per l’oratore: “gli eventi epocali verificatisi in Africa mediterranea hanno offerto ai popoli dei Paesi coinvolti l’opportunità unica di esprimere più liberamente il loro desiderio di vera democrazia, rispetto dei diritti umani civili, ma anche la richiesta di un funzionamento più imparziale ed efficiente delle istituzioni statali e uso più equo delle risorse pubbliche”. Per l’oratore “l’UE è pronta a confermare il sostegno a favore dei suoi vicini meridionali e a firmare convenzioni di partenariato con questi paesi per realizzare progressi concreti a favore dei cittadini”. Per quanto riguarda i flussi migratori, per Battistotti: “la  risposta dell’Unione europea alla situazione di emergenza è complessivamente giudicata rapida, articolata ed efficace. D’altro canto, però, è anche emerso con chiarezza che la situazione di crisi non si risolverà rapidamente e che occorra creare le condizioni per mettere in atto un piano più strutturato e sostenibile che sia in grado di coprire le diverse dimensioni del fenomeno e si fondi sulla solidarietà tra gli Stati membri e sul partenariato con i paesi terzi interessati, nel pieno rispetto degli obblighi internazionali dell’Unione. Per la Commissione Europea “I flussi di migrazione irregolare provenienti dalla Tunisia e dalla Libia potrebbero esser seguiti da fenomeni simili in altri paesi del Sud del Mediterraneo. A fronte di questa situazione e per rispondere a queste sfide in modo rapido ed efficace, è emersa l’urgenza di intraprendere immediatamente nuove iniziative e di presentare misure a lungo termine per lo sviluppo delle capacità di gestione della migrazione e dei flussi di profughi nel Mediterraneo nel Consiglio europeo che ha avuto luogo il 24 e 25 di giugno”.   “La Commissione è convinta della necessità di adottare misure miranti innanzitutto a risolvere le cause strutturali all’origine dei flussi migratori. La cooperazione con i paesi del Sud del Mediterraneo dovrebbe essere potenziata per rispondere efficacemente alla sfida di creare posti di lavoro e migliorare le condizioni di vita nell’intera area. La Commissione è convinta che l’avvio dei partenariati per la mobilità con i paesi del Sud del Mediterraneo sia uno strumento cruciale di stabilizzazione”, proposta che si tradurrà “in un approccio su misura, basato sull’impegno assunto da ogni singolo paese di soddisfare determinate condizioni e di rispettare nella loro globalità le relazioni con il paese partner interessato”. L’ultimo intervento della mattinata, prima delle conclusioni, è stato di Gildo Baraldi Direttore Generale OICS, che ha spiegato la natura e le attività della sua Organizzazione: “una struttura della Conferenza delle Regioni italiane per la cooperazione impropriamente definita “cooperazione decentrata”, con il compito di attività a “sostegno dei processi di internazionalizzazione territoriale, valorizzazione delle comunità regionali emigrate (soprattutto nelle Americhe), governo territoriale e valorizzazione internazionale dei flussi di immigrazione (soprattutto nel Mediterraneo).  “Ciò premesso, ha detto Baraldi, tenterò una sommaria risposta alle questioni poste da Casucci. Ovvio che la paventata “emergenza immigrazione” è stata volutamente esagerata. Ciò nondimeno la demografia ed il persistente divario economico imporranno nel tempo ingenti flussi migratori, che (seconda questione) accordi bilaterali e leggi non possono sperare di bloccare. L’oratore ha ricordato che “durissimi controlli e frontiere elettrificate non hanno impedito che oggi la lingua più parlata negli USA sia lo spagnolo”. Siamo sicuri, si è chiesto Baraldi, che l’obiettivo debba essere contenere o bloccare i flussi e non piuttosto cercare di governarli?  E’ dimostrato che una maggiore e migliore cooperazione con un Paese terzo non drena, ma al contrario incrementa l’immigrazione da quel Paese. Ciò nondimeno la cooperazione è uno strumento fondamentale per governare e migliorare, non quantitativamente ma qualitativamente, l’immigrazione, ridurne la componente di fuga disperata ed incrementare quella più utile sia al nostro sviluppo, sia a quello del Paese d’origine, favorendo lì la formazione professionale, la creazione di occupazione, la coesione sociale, i servizi di welfare ed il rafforzamento istituzionale, facilitando qui la chiamata dei lavoratori qualificati necessari alla nostra economia”. “D’altronde (quarta questione) perché mai i Governi nordafricani dovrebbero impegnarsi a congelare l’emigrazione? Anche qui non ho tempo per analisi, ma ricordo che fino al 1960 la seconda voce della nostra bilancia dei pagamenti era costituita dalle rimesse dei nostri emigrati”. L’oratore ha poi così’ proseguito: “sarebbe troppo lungo anche solo elencare i disastrosi effetti del non governo dell’immigrazione, dalla mancata integrazione, alle reazioni xenofobe (Rosarno),  all’importazione di clandestini disperati e costretti quindi a divenire manovalanza a basso costo della nostra criminalità, o, quando va bene, lavoratori in nero sottopagati e quindi dirompenti per il mercato del lavoro, all’incapacità di cogliere le opportunità di internazionalizzazione, scambio e sviluppo reciproco del nostro territorio e di quello d’origine”. “Dobbiamo prendere atto, ha concluso Baraldi, che tutta l’Europa è destinata ad assorbire una crescita esponenziale di popolazione esogena ed attrezzarci di conseguenza, sul piano istituzionale, sociale, economico e (ultima delle questioni poste da Casucci) su quello dell’organizzazione del lavoro. Perché, tra l’altro, non prepararci, come fanno i Paesi nati dall’immigrazione (Americhe ed Australia) ad estendere la cittadinanza dallo jus sanguinis allo jus soli? Un’ultima osservazione a proposito della cooperazione con i Paesi di origine: possibile che non si faccia nulla per valorizzare le rimesse degli immigrati ed i contributi sociali, assicurativi e pensionistici che (almeno quelli regolari) versano alle nostre istituzioni?” . La mattinata si è  chiusa con l’intervento conclusivo di Guglielmo Loy Segretario Confederale della UIL. L’oratore ha ripreso le ragioni che hanno motivato la UIL ad organizzare lo workshop: “la situazione che riguarda i Paesi del  Mediterraneo è certamente complessa – ha esordito – e concerne aspetti di politica internazionale, politica interna di quei Paesi, il futuro dei rapporti economici e  commerciali tra Nord Africa, Medio Oriente ed Europa; e, naturalmente la questione spinosa della mobilità delle persone: un quadro di grandi problemi, ma anche di opportunità”.  Si aprono dunque nuovi scenari a cui il nostro sindacato deve dedicare grande attenzione: relazioni bilaterali e multilaterali tra Paesi, ma anche una nuova grande partecipazione della gente alla costruzione del proprio futuro, diversa dal passato: “questo ci spinge – ha detto Loy – a valorizzare maggiormente il rapporto con i sindacati di quei Paesi, ma anche con i cittadini di quelle stesse nazioni che già vivono con noi, che possono diventare un nesso importante con i loro connazionali nei Paesi di origine”. L’oratore ha poi ripreso il concetto di “poliedricità” dell’immigrazione – già ricordato da Natale Forlani – ribadendo che si tratta di un fenomeno molto complesso e diversificato a cui non possono essere date risposte generiche e superficiali, così come spesso è avvenuto. L’incapacità di capire questa poliedricità – ha continuato l’oratore – è una delle cause che ha portato ad un sostanziale mancato governo della spinta migratoria in arrivo nell’ultimo decennio ed anche una concausa delle nostre difficoltà nelle politiche di integrazione tra culture diverse. “Abbiamo ormai centinaia di migliaia di figli di immigrati la cui cultura prevalente è quella italiana, ha detto Loy. A loro vanno date risposte certe sul piano dei diritti civili e di cittadinanza”. Certo una battaglia per i diritti di cittadinanza è sacrosanta.  “Ci sono, però, piccole cose che si possono fare anche a legislazione invariata che possono aiutare concretamente a migliorare le condizioni di vita ed i diritti di questi nuovi cittadini, molti dei quali preferirebbero – io credo – una maggior semplicità nella procedura di ottenimento di un permesso di soggiorno di lungo periodo, piuttosto che il lunghissimo ed incerto cammino per ottenere la cittadinanza italiana, non sempre richiesta per convinzione, ma spesso per mera convenienza”. Loy ha ricordato che le vicende del Nord Africa ci hanno riportato crudamente alla drammaticità di un mondo che è a noi molto più vicino di quanto spesso ricordiamo e a cui ci conviene dare risposte ragionate, in quanto lo sviluppo economico e democratico in quelle aree può aiutare anche noi ad un possibile approccio “euro mediterraneo” per rispondere al tema incombente della pressione demografica e migratoria africana nel prossimo futuro. “in questo senso – ha ribadito il dirigente UIL  – le risposte date attraverso facili slogan, servono solo a produrre danni”. Le proposte della UIL su questi temi sono molto articolate ed equilibrate, ha detto l’oratore. Noi pensiamo che vada rafforzato il ruolo dei Paesi del Nord Africa – in un quadro di maggior democrazia e partecipazione della gente, nonché di tutela dei diritti della persona – per costruire risposte comuni alla forte mobilità africana, nel rispetto dei diritti umani, ma anche delle normative europee in materia. “Abbiamo avuto conferma anche in questo seminario – ha detto l’oratore –  che il vero fattore di attrazione della clandestinità è l’economia sommersa e che la strada giusta da seguire non sono leggi sempre più draconiane, ma una normativa che favorisca percorsi legali di ingresso in Europa, e l’incontro virtuoso tra domanda ed offerta di lavoro regolare. Oggi in Italia abbiamo un mercato del lavoro che utilizza fortemente la manodopera etnica (2 milioni di accensioni di rapporti di lavoro con immigrati nel 2010, malgrado la crisi). Dunque si tratta di una grande risorsa che potrebbe però diventare un problema se non viene governata. Infatti il lavoro nero (etnico o meno), produce dumping sociale, dunque maggiore insofferenza da parte di chi le paga le tasse e soffre delle conseguenze della concorrenza sleale, dunque condizioni favorevoli al nascere di possibili atteggiamenti xenofobi.   “Specie, ripeto, quando si usano gli slogan invece della ragione per rispondere ai problemi. E’ questa certo una realtà che riguarda l’intera Europa, come la cronaca di ogni giorno ci conferma. Ed è una sfida anche per il sindacato, che la UIL raccoglie e rilancia ai suoi interlocutori sociali ed istituzionali”. Dopo aver stigmatizzato l’uso strumentale dei problemi dell’immigrazione e della crisi, Loy ha concluso il suo intervento chiedendo alle istituzioni ed agli attori sociali maggior coraggio ed intelligenza per la ricerca comune di strumenti adeguati a combattere il lavoro nero e la clandestinità, creare condizioni efficaci di incontro tra domanda ed offerta di lavoro etnico regolare, nonché di maggior cooperazione economica e sociale con i nostri vicini del Sud del Mediterraneo”.

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