UIL-CGIL-CISL a tutela dei cittadini

Cgil-Cisl-Uil nazionali intendono aprire un confronto con il Governo, le Regioni, gli Enti Locali e i Gruppi parlamentari per il rilancio delle Politiche Sociali e Sanitarie: sia per tutelare i diritti dei cittadini, colpiti dalla crisi e dalle politiche di austerità, che per sostenere la ripresa economica e l’occupazione, a partire dalla Legge di stabilità 2014 e dalla strategia dell’ Italia per il semestre europeo.

Il sistema di welfare asse strategico dello sviluppo

Il sistema di welfare rappresenta una leva anticiclica da attivare per contrastare gli effetti socio economici negativi della crisi, causati dalla disoccupazione, dalla povertà, dal disagio e per rilanciare una crescita equilibrata ed inclusiva, fondata sulla centralità della persona e dei suoi diritti grazie al valore aggiunto generato dalla coesione.

Non è un caso che laddove vi è una migliore protezione e buona concertazione sociale le economie risultano più efficienti e competitive.

In sostanza le risorse per le politiche di welfare, se correttamente orientate, rappresentano veri e propri investimenti che producono più posti di lavoro e servizi più qualificati.

Di questo c’è bisogno per rispondere adeguatamente alla domanda di servizi di cura, di assistenza alla persona e socio educativi in continuo aumento. Questi servizi, nonostante la crisi, hanno assicurato una crescente occupazione che, se sostenuta, può ulteriormente svilupparsi assicurando la tutela e la dignità del lavoro.

Verifichiamo invece che la lunga crisi ha indebolito ulteriormente il nostro sistema di welfare.

Le esigenze di contenimento della spesa pubblica, con i tagli lineari ed i vincoli dati dal patto di stabilità, l’empasse nei rapporti istituzionali, l’incapacità di innovare interventi e servizi, il carente coinvolgimento degli attori sociali sono ricadute proprio sulle politiche socio sanitarie, con pesanti riduzioni delle risorse a svantaggio delle famiglie più in difficoltà e delle fasce più deboli della popolazione soprattutto: anziani, giovani, donne, disabili, bambini. Si pensi che le risorse per il sociale hanno subito un taglio del 75% negli ultimi 5 anni e che il Servizio Sanitario Nazionale ha subito tagli lineari al finanziamento per oltre 30 miliardi.

Perciò è inaccettabile l’ulteriore taglio al Servizio Sanitario Nazionale, di 540 milioni di euro per il 2015 e di 610 milioni di euro a partire dal 2016, che colpendo la principale risorsa del SSN, il personale dipendente e quello convenzionato, si scarica inevitabilmente sui servizi per i cittadini.

Ciò ha mortificato motivazioni e depauperato professionalità degli operatori del settore, peraltro numericamente in espansione, per i quali le condizioni e le prospettive di lavoro diventano sempre più difficili.

Urgono, pertanto, processi di riforma per rendere il nostro welfare più efficiente, efficace ed equo che affrontino la nuova domanda di promozione e protezione sociale e sanitaria, superino la logica guidata da interventi frammentari e di carattere riparatorio e rilancino le politiche sanitarie e sociali attraverso la definizione di un quadro strategico condiviso tra istituzioni e parti sociali cui raccordare le scelte legislative e gestionali. Ciò creerebbe davvero le condizioni per applicare a pieno l’articolo 117 della Costituzione e valorizzare la dimensione territoriale della concertazione, livello nel quale si può affrontare in maniera più adeguata la complessità e specificità delle situazioni.

Il testo del Disegno di Legge di Stabilità 2014 presentato dal Governo, pur avendo previsto il rifinanziamento delle principali voci di bilanci ,sottoposte invece in passato a pesanti tagli,   non assume il welfare come elemento che concorre allo sviluppo del Paese.

Rifinanziando infatti in maniera ancora inadeguata i Fondi sociali nazionali, investendo nella sola vecchia social card e limitando le risorse disponibili al solo anno in corso; intervenendo sul comparto sanitario riducendo la spesa per il personale e non affrontando la questione dell’integrazione socio sanitaria si rinuncia a mettere in campo interventi di riforma strutturale sulle  politiche socio assistenziali e sanitarie.

Cgil Cisl e Uil chiedono al Governo ed al Parlamento segnali più chiari e decisi in favore di uno sviluppo del sistema di welfare che lo renda equo ,efficace, attivo e promozionale.    

Aprire una stagione innovatrice delle politiche sociali

A livello nazionale scontiamo l’incertezza e la conflittualità generate da un processo federalista incompiuto, un finanziamento del sistema dei servizi inadeguato ed una centralizzazione degli interventi monetari di natura assistenziale rivolti alle persone e alle famiglie scollegati dei servizi, la mancata definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali, la frammentazione degli interventi fuori da un disegno strategico di governo delle politiche sociali in generale e in particolare delle materie di importanza prioritaria (non autosufficienza, infanzia, povertà).

Per Cgil Cisl e Uil i principi e gli obiettivi della legge quadro 328/2000 restano ancora validi, anche se vanno rideclinati alla luce del nuovo quadro e resi operativi, valorizzando le esperienze più avanzate, anche a livello territoriale  soprattutto in tema di programmazione partecipata, di gestione associata degli interventi e dei servizi, di integrazione socio sanitaria.

Per questo riteniamo che:

  • Vadano definiti i livelli essenziali delle prestazioni, per garantire i diritti sociali ai cittadini in modo uniforme in tutto il territorio nazionale, come previsto dalla Costituzione, pena l’ulteriore allontanamento  del sistema di protezione sociale dal resto dell’Europa. Il percorso di definizione dei LEPS va attuato in modo graduale e progressivo: individuando costi e fabbisogni standard, fissando obiettivi quantitativi e qualitativi; verificando gli impegni finanziari; prevedendo scadenze operative precise e condivise tra le Istituzioni; realizzando meccanismi di valutazione.
  • Va garantito un finanziamento al sistema certo e stabile nel tempo che permetta una programmazione pluriennale degli interventi ed un riequilibrio della spesa tra centro e periferia e tra i diversi territori. Vanno pertanto da subito rifinanziati i Fondi  sociali nazionali, come da tempo richiesto dalle OO.SS. (in particolare fondo per le politiche sociali, non autosufficienza e famiglia) rendendoli stabili, finalizzandoli meglio ai livelli essenziali e monitorando la spesa. La riforma fiscale può essere lo strumento per garantire in prospettiva a Regioni ed enti locali le entrate necessarie a gestire la materia di loro esclusiva competenza, ma permane l’urgente necessità di riequilibrio territoriale e di programmi nazionali che richiedono fondi dedicati, così come avviene anche in Paesi a forte impronta federalista.
  • Va portato a compimento l’importante processo di revisione dell’Isee, sulla base dell’equilibrio trovato con le OO.SS. ed implementato correttamente anche attraverso la costituzione di un tavolo nazionale di monitoraggio con le parti sociali. L’obiettivo deve essere quello di garantire maggiore equità nel graduare le prestazioni sociali agevolate e quindi di ampliare il sistema di tutela pubblica e non di contingentarne le risorse.  
  • Va avviato un percorso concordato che definisca una serie di interventi normativi e finanziari (es. fondo nazionale per la non autosufficienza) sia in campo sociale che sanitario, che affrontino con organicità il sistema di long term care a favore delle persone non autosufficienti, coordinando interventi monetari, servizi e le misure di conciliazione vita/lavoro. Per far ciò è necessaria la creazione di una metodologia nazionale per l’individuazione della popolazione di riferimento, perché ad oggi, nel nostro Paese non esistono dati certi, di natura amministrativa, che permettano la determinazione dell’intero contingente di persone non autosufficienti.
  • Va varato, anche sulla scorta delle sperimentazioni avviate, un programma nazionale di contrasto alla povertà con un finanziamento nazionale aggiuntivo che non incida sull’attuale spesa sociale, gestito a livello locale e finalizzato all’autonomia ed all’inclusione socio lavorativa della persona e della famiglia     
  • Va realizzato, operando la riconnessione tra sedi ed iniziative conoscitive  (analisi della spesa sociale dei Comuni, Sina, futuro Casellario dell’assistenza., ecc) il sistema informativo sociale che permetta l’emersione delle diverse condizioni sociali e dei servizi erogati, superando le politiche “cieche” fatte finora.
  • Va supportata la rete dei servizi socio-educativi alla prima infanzia, rilanciando il  percorso di concertazione istituzionale realizzato con il Piano Straordinario ed il relativo monitoraggio quantitativo e qualitativo; particolare attenzione andrà riservata alla fascia d’età 12-24 mesi e alle Regioni del Mezzogiorno, che vedono una presenza di servizi ferma rispettivamente al 20% e al 7,7%, nonché alle Sezioni Primavera, come alternativa “di qualità” agli accessi anticipati alla Scuola dell’Infanzia.
  • Va colta interamente la grande opportunità della Riprogrammazione dei Fondi Strutturali – “Programma Cura” del PAC, che stanzia finanziamenti consistenti per l’Assistenza domiciliare agli anziani ed ai Servizi alla prima infanzia nel Mezzogiorno – per strutturare e qualificare il sistema territoriale di interventi sociali in una ottica di programmazione integrata con le risorse ordinarie e di efficienza gestionale. Ciò anche in vista della nuova programmazione dei fondi europei 2014-2020 che orienteranno risorse aggiuntive a quelle nazionali nel campo delle politiche sociali. Il nostro obiettivo è conforme a quanto espresso dalla Commissione Europea, quando propone di allocare almeno il 25 % del Fondo sociale allo sviluppo delle politiche di coesione. In ogni caso i diversi fondi europei possono finanziare direttamente o indirettamente interventi sociali. A tal proposito è necessario un forte presidio nazionale e locale, che non riguardi esclusivamente la gestione delle risorse, ma anche e soprattutto la qualità e la quantità dei progetti presentati per il finanziamento.

All’interno di questo quadro Cgil-Cisl e Uil chiedono che nella Legge di stabilità 2014 siano incrementati i finanziamenti previsti per le politiche sociali dando ad essi una prospettiva triennale, in maniera da assicurare adeguate risorse ai processi di riforma che vanno fin da subito avviati per le politiche a favore della famiglia e dell’infanzia, per l’assistenza alla Non autosufficienza ed il contrasto  alla povertà.

Gli stanziamenti attualmente previsti dal testo presentato al Senato sono ritoccati al ribasso rispetto all’anno scorso e si limitano all’anno in corso.

Infatti:

  • il Fondo nazionale politiche sociali conterà su 317 milioni di euro per il 2014 contro i circa 344 milioni del 2013;
  • il Fondo non autosufficienza avrà 250 milioni per il 2014 rispetto ai 275 milioni del 2013;
  • i Fondi famiglia ed infanzia complessivamente ammonteranno a circa 49milioni e 500 mila euro a fronte dei 60 milioni e 500 mila del 2013.

In tal modo non si recuperano i pesanti tagli effettuati negli ultimi anni, non si offre prospettiva alla programmazione territoriale, né tanto meno si possono prefigurare impegni sul versante della definizione dei livelli essenziali. 

Infine sul capitolo del contrasto alla crescente povertà delle famiglie povertà, nonostante la necessità di rispettare gli impegni assunti dall’Italia nel contesto europeo e le proposte avanzate dallo stesso Esecutivo, il testo del disegno di legge di stabilità si limita al rifinanziamento della vecchia “carta acquisti” con 250 milioni di euro, misura considerata inadeguata ed inefficace ai fini dell’inclusione sociale.

La centralità dell’integrazione socio sanitaria

I mutamenti avvenuti nei profili familiari, nelle dinamiche demografiche, nell’espansione di malattie cronico degenerative ci impongono una nuova centralità della questione dell’integrazione socio sanitaria assumendola come tema principale delle politiche di welfare.

Inoltre le modifiche al Titolo V della Costituzione hanno sostanzialmente cambiato il sistema delle responsabilità in ordine all’assistenza sanitaria e sociale, responsabilizzando, da un lato, fortemente il livello regionale e locale nella garanzia dei diritti di cittadinanza, e dall’altro assegnando allo Stato il compito di definire e finanziare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art.117, comma 2, lettera m).

Rispetto a questo assetto istituzionale di competenze e responsabilità è bene sottolineare l’importanza della divisione dei compiti e dei poteri di intervento, per non generare conflitti operativi e sovrapposizioni decisionali.

E’ evidente che risulta fondamentale il ruolo svolto dai livelli regionali e territoriali i quali, al di là dei non pochi casi in cui la questione non è stata affrontata, hanno adottato una pluralità di modelli istituzionali secondo le diverse “culture” storiche dei vari territori (ci sono in alcuni casi sperimentati Assessorati unici o strutture tecnico-amministrative unitarie o Pianificazioni integrate) e poche regioni hanno assunto regole per l’integrazione  e disciplinato la ripartizione dei costi, a seguito delle normative nazionali.

Certamente, grazie anche alla migliore strutturazione delle politiche sociali dopo la Legge 328/2000, si è giunti ad avere in molte regioni una coincidenza tra distretto sanitario e ambito territoriale, che rappresenta una precondizione per l’integrazione ed è premessa necessaria anche se non sufficiente per allineare i livelli di programmazione (PAT e PdZ)  favorendo la coincidenza tra le strategie e la gestione dei processi, in alcuni casi si è andati oltre attraverso i Profili di salute ed i Piani integrati di salute.

  • A livello nazionale quindi si tratta di creare le condizioni affinchè, a partire da un impegno in sede di Legge di stabilità 2014,  si sviluppi la correlazione tra politiche di assistenza sanitaria (in particolare quella territoriale) e di sostegno sociale per orientare le risorse su obiettivi più precisi e per favorire maggiormente qualità, accessibilità, umanizzazione, continuità, adeguatezza delle risposte.
  • E’ indispensabile che questa priorità venga assunta ad ogni livello e che pertanto vi siano indirizzi ministeriali coerenti, da concordare nelle Conferenze Stato Regioni ed Unificata, affinchè vi sia una integrazione reale tra gli obiettivi dei Fondi nazionali, tra gli approcci programmatori, tra i progetti attivati.
  • Cgil Cisl e Uil ritengono necessaria l’apertura di un tavolo di confronto congiunto tra il Ministero della Sanità e quello del Lavoro e delle Politiche sociali.

Una nuova governance: un Patto per il sociale

La politica da sola ha dimostrato di non essere in grado di avviare e sostenere processi necessariamente profondi di cambiamento. Per fare ciò serve un consenso ampio, che però deve essere di qualità diversa da quella fin qui realizzata prevalentemente sulle quantità economiche dei bilanci.

Occorre a nostro avviso innovare i modelli di governance fin qui adottati sia a livello nazionale sia ai livelli regionale e territoriale al fine di superare la diffusa e ininfluente pratica della consultazione e promuovere processi di partecipazione attiva e responsabile delle parti sociali realmente rappresentative e di negoziazione. Una nuova governance deve caratterizzare tutte le fasi che vanno dalla programmazione alla progettazione, dal monitoraggio alla verifica dei risultati delle prestazioni.

  • A livello nazionale riteniamo sia giunto il momento di realizzare, come per il tema della salute, un patto per il sociale che vincoli tutte le istituzioni e le forze sociali su precisi obiettivi e priorità, che definisca gli strumenti ed interventi normativi ed amministrativi necessari a realizzarli in ragione della sostenibilità di sistema ,data dalle risorse disponibili a tutti i livelli.

Da questo possono discendere ed essere più efficaci sia i piani nazionali di settore che risultare più fluide le programmazioni regionali e territoriali, sulla base degli orientamenti concordati.  

  • Analogamente vanno rivitalizzati i sistemi di governance territoriale disegnati dalla 328/2000 in una logica di sussidiarietà orizzontale che valorizzi e responsabilizzi tutte le rappresentanze del territorio, anche quelle finora estranee come quelle economiche ed imprenditoriali, in modo da superare i punti critici che hanno impedito una programmazione e progettazione delle prestazioni e dei servizi sociali fondati sui bisogni, gestioni efficienti ed efficaci, integrazione tra politiche.

Un nuovo Patto per la Salute: servizi di qualità per i cittadini, lavoro, buona occupazione

  • Il Governo e la Conferenza delle Regioni hanno finalmente avviato il confronto sul nuovo Patto per la Salute.
  • Il Patto deve essere costruito con un nuovo metodo, che permetta un’ampia partecipazione: il confronto deve coinvolgere anche il sindacato confederale che rappresenta milioni di lavoratori e di pensionati.
  • Per Cgil Cisl e Uil priorità assoluta è ristabilire in tutto il Paese il diritto universale alla tutela della salute e a cure di qualità, mettendo in sicurezza il Servizio sanitario nazionale, minacciato dai ticket e dai tagli lineari di questi anni. La Legge di Stabilità deve stanziare subito i due miliardi per il fondo sanitario necessari per evitare i nuovi ticket da gennaio 2014. Per questo ci aspettiamo che l’impegno del Governo sia ora inserito nella legge.
  • Pur consapevoli della situazione di finanza pubblica, Cgil, Cisl, Uil chiedono di adeguare il finanziamento al SSN. I tagli, sin qui già pesantissimi, rischiano di produrre effetti ancor più negativi il prossimo anno. Anche perché sono tagli lineari, che impediscono scelte selettive, indispensabili per riqualificare i servizi e la spesa.
  • Perciò è inaccettabile l’ulteriore taglio al Servizio Sanitario Nazionale, di 540 milioni di euro per il 2015 e di 610 milioni di euro a partire dal 2016, che colpendo la principale risorsa del SSN, il personale dipendente e quello convenzionato, si scarica inevitabilmente sui servizi per i cittadini.
  • La situazione è preoccupante: oggi la tutela della salute non è garantita a tutti i cittadini, soprattutto in alcune regioni. Molte persone rinunciano a curarsi per motivi economici, anche per il continuo aumento dei ticket. Altre si rivolgono al privato o “emigrano” in altre regioni.
  • Bisogna cambiare questa situazione che mette in discussione i livelli essenziali di assistenza. Per questo bisogna sostenere, con investimenti ad hoc, in tutte le regioni, anche in quelle cosiddette virtuose, la riorganizzazione dei servizi: appropriati, con sedi diffuse e orari più lunghi (non deve essere un fatto straordinario ma normale se gli ambulatori sono aperti alla sera e al sabato), che devono facilitare l’accesso dei cittadini e tagliare tempi di attesa ingiustificati.
  • I bisogni delle persone, legati ai cambiamenti demografici e allo scenario epidemiologico (con l’aumento della non autosufficienza e delle patologie croniche), reclamano più prevenzione, più cure primarie h24 e di iniziativa, più integrazione tra sanità e servizi sociali. Anche come risposta alla necessaria riconversione delle reti ospedaliere. A questo devono servire i nuovi i LEA, che vanno finalmente sbloccati con le risorse necessarie.
  • Ma una vera riorganizzazione è possibile solo valorizzando il lavoro, superando le precarietà e salvaguardando i livelli di occupazione. Perciò occorre sbloccare la contrattazione e prevedere misure per tutelare e creare lavoro. Comprese le clausole di salvaguardia dei livelli occupazionali per gli appalti e le convenzioni.
  • Serve rivedere i Piani di Rientro: uscire dalla logica di tagli, ticket e tasse, che colpiscono cittadini e lavoratori, e liberare risorse, oggi bloccate (per sanzione), vincolandole però alla riorganizzazione dei servizi, vero motore del risanamento.
  • Bisogna assegnare maggiori responsabilità allo Stato per superare la frammentazione del SSN (e il divario tra il regioni) per rispettare il principio costituzionale della garanzia uniforme dei LEA in tutto il territorio nazionale.
  • Occorre organizzare con le regioni in difficoltà veri percorsi di convergenza, per assicurare i LEA come nelle esperienze più “virtuose”. Anche perciò serve dare più forza alla valutazione delle performances e dei risultati del SSN, per affiancare quella oggi prevalente sull’equilibrio economico-finanziarie. Solo così gli standard e il confronto (benchmark) tra le regioni diventano un’opportunità per migliorare i servizi e non un pretesto per tagliare ancora.
  • Il Patto per la Salute può aiutare il nostro Paese a crescere e a migliorare: guardando alle politiche sociali e alla sanità non più come costi da tagliare, ma finalmente come investimenti, da usare bene, per garantire il diritto alla salute e alle cure per i cittadini, per creare buona occupazione e sostenere la stessa ripresa economica. Anche così l’Italia può contribuire al rilancio del “modello sociale europeo”, anello mancante per costruire l’Europa Unita.
  • Per liberare risorse da destinare al potenziamento dell’assistenza sanitaria, non è piu’ rinviabile la decisione di centralizzare l’acquisto di beni e servizi in sanità, anche per consentire una adeguata trasparenza all’azione amministrativa nel settore. Creare un albo nazionale in cui raccogliervi le consulenze in essere prestate nell’ambito dell’indotto sanitario, come anticamera di una lotta senza quartiere agli sprechi e alle corruttele, con l’obiettivo di ricavare ulteriori ingenti risorse.
  • Cambiare il sistema di premialità e selezione del personale sanitario, con la finalità di maggiori competenze ed umanizzazione nello svolgimento delle proprie funzioni professionali, in linea con il doveroso contrasto alla cosiddetta “malasanità”.
  • Incoraggiare la riconversione di quei presidi ospedalieri tuttora inutili per inconsistenza di mezzi se non finanche dannosi, in quei comprensori territoriali dove vi sia già, o realizzando, una presenza di servizi primari; così da intraprendere senza oneri insostenibili la strada di una nuova tridimensionalità (ospedale-territorio-domicilio) terapeutica che coinvolga tutti gli attori sociali del territorio. Avremmo in questo modo assolto in parte al compimento di un grande assente, che è la medicina del territorio, ora in versione aggiornata nel solco del concetto di community care.
  • Incoraggiare il ricorso all’assistenza sanitaria integrativa non per sostituire i LEA ma come supporto per un’offerta più completa dal punto di vista qualitativo e/o quantitativo per quelle prestazioni i cui costi sono oggi a carico dei cittadini;  contemplandone l’utilizzo, laddove può rivestire un ruolo risolutivo, rispettando il terreno di competenza tra Sanità Pubblica ed intervento integrativo. In definitiva, preservando il principio di universalità, guardare all’assistenza sanitaria integrativa come opportunità.
  • Un grande investimento è rappresentato dalla Prevenzione. Bisogna avere il coraggio di guardare avanti con progettualità: investire in prevenzione, agendo su tutti i determinanti di salute, vuol dire seminare senza gravare sul sistema ed ottenere un raccolto abbondante e solido nel tempo. Un cittadino istruito, in grado di autodeterminarsi responsabilmente, assimilando ‘buone regole’ sullo stile di vita sin dall’età pediatrica, è un cittadino meno esposto al rischio di ammalarsi, dunque un valore aggiunto di sviluppo e produttività per la società. Perciò serve rilanciare, in questo contesto, anche l’alleanza “scuola-salute” a partire dall’istruzione primaria.

Su questi obiettivi Cgil- Cisl- Uil promuoveranno iniziative a livello nazionale e territoriale insieme alle categorie dei pensionati e dei lavoratori pubblici, chiamando al confronto anche le organizzazioni sociali più rappresentative impegnate a riformare le politiche sociali e sanitarie, al fine di realizzare una rete nazionale di servizi alle persone e alle famiglie.

 

Fonte: Documento unitario UIL-CGIL-CISL

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